lunedì 29 agosto 2011

Ne avremo il diritto?

Il giorno della partenza, assieme alla sua benedizione, don Maurizio ci ha letto un brano tratto da un libro di cui non ricordo il titolo e di cui mi sfugge il nome dell’autore. So solo che è un monaco appartenente alla famiglia di quei religiosi martirizzati ormai quindici anni fa in Algeria a cui è stato chiesto di prendere il loro posto subito dopo quei sanguinosi episodi. La frase diceva pressappoco che anche la seconda generazione di algerini, che pure non ha conosciuto la guerra, porta indelebili sulla pelle i segni della devastazione. Vale per l’Algeria, vale per qualsiasi altra terra, vale anche per Sarajevo.
I bambini che incontriamo non hanno mai sentito il suono di una sirena, non sono mai dovuti scappare nei rifugi e passarci intere giornate, non sanno cosa significhi andare a prendere l’acqua correndo fra sacchi di sabbia per evitare di essere colpiti da un cecchino, non sanno nulla delle granate che cadevano nei posti affollati o dei fucili puntati di nascosto proprio sui bambini. Ma questa guerra se la portano addosso per la povertà che vivono ogni giorno, per la distruzione che rende brutti certi scorci di questa magnifica città, per il loro stato di abbandono, perché molti loro parenti hanno preso casa all’estero e, da profughi prima, oggi non pensano più di ritornare in Bosnia.
Ferite profonde che solo il tempo può rimarginare e che solo una politica più giusta, a livello nazionale ma soprattutto internazionale, può aiutare a cicatrizzarsi. Ma questo non è ancora accaduto. La guerra è finita da troppo poco e i grandi della terra sono impegnati su altri fronti, primo fra tutti, quello di garantire lo status quo che continua ad affamare milioni di poveri.
Ma noi siamo qui. Non siamo ricchi, non risolviamo nulla, non abbiamo la pretesa di opere grandi perché torneremo presto a casa nostra…ma noi siamo qui a dare il nostro tempo, a sguinzagliare sorrisi, a portare la notizia che proprio loro, bimbi abbandonati, sono preziosi. Piccolissime suture su grandi ferite.
E così penso a chi è responsabile di tutto questo, a chi ha messo mano alle armi o ha comandato le stragi. Forse non pensava, nella follia di un accecato nazionalismo, che cosa avrebbe mai scatenato il suo odio e quanto avrebbe inciso sulla vita di tanti innocenti. Non incrocerò mai, grazie a Dio, lo sguardo di Karadzic o di Mladic ma oggi sento il diritto di gridare la loro colpa e, in un’accusa e colpa che sarà giusta, di sperare che si possa ricominciare daccapo!

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